Cassazione civile sez. III, 07/04/2022, n.11320
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 1372, comma 2, cod. civ., con la conseguenza che l’autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.
Il caso
La vicenda portata all’attenzione della Corte riguarda la scomparsa di un paziente che, dopo tre giorni dal ricovero in una struttura sanitaria per riabilitazione motoria, fa perdere le proprie tracce. La moglie chiede il risarcimento del danno iure proprio allegando una condotta colposa di omessa sorveglianza. La domanda viene rigettata sia in primo, che in secondo grado.
In particolare, la Corte d’Appello di Milano, nel confermare la decisione gravata, rileva che la responsabilità dell’ente doveva essere ricondotta non nel paradigma dell’art. 1218 c.c., ma in quello dell’illecito aquiliano essendo l’attrice terza rispetto al contratto stipulato dal consorte. La pretesa non poteva quindi essere accolta perché era mancata la prova della colpa e del nesso.
La moglie del paziente ricorre in Cassazione lamentando anzitutto l’errata qualificazione della domanda: i Giudici avrebbero dovuto inquadrare il rapporto entro le coordinate della responsabilità contrattuale “in quanto la pretesa risarcitoria trovava la propria fonte nell’inadempimento del contratto atipico stipulato dal coniuge, dal quale discendevano obbligazioni non limitate alla somministrazione di cure mediche e farmacologiche, ma comprensive del dovere di salvaguardare l’incolumità fisica e patrimoniale del paziente”.
Il principio affermato dalla Corte
La Cassazione rigetta il ricorso e coglie l’occasione per ribadire l’orientamento affermatosi nel corso degli ultimi anni, secondo il quale il perimetro del contratto con effetti protettivi a favore dei terzi deve ritenersi limitato ai soli rapporti afferenti alla procreazione. In questo ambito, osserva la Corte, “l’inesatta esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre talché la tutela contro l’inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati”. Al di fuori di tale peculiare settore, poiché l’esecuzione della prestazione che forma oggetto della obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art. 1372 c.c., comma 2); pertanto, per un verso non è predicabile un “effetto protettivo” del contratto nei confronti di terzi, per altro verso non è identificabile una categoria di terzi (quand’anche legati da vincoli rilevanti, di parentela o di coniugio, con il paziente) quali “terzi protetti dal contratto”.
I prossimi congiunti che vantino pretese iure proprio potranno sì avere tutela, ma attraverso l’art. 2043 c.c. (ovvero in forza del contratto stesso, ma solo qualora agiscano iure hereditario).
Nello sviluppo delle argomentazioni il Collegio richiama, in sostanza, le osservazioni già svolte nella sentenza n. 19188/2020 e conclude in questi termini: la prestazione, pertanto, deve corrispondere all’interesse specifico del creditore (art. 1174 c.c.) e non a quello di terzi, salvo che questi ultimi non siano portatori di un interesse assolutamente sovrapponibile a quello del primo.
L’estensione degli effetti del contratto è dunque ammissibile nei soli casi limite in cui i terzi siano portatori di un “interesse assolutamente sovrapponibile” a quello del creditore. Ed il caso paradigmatico sarebbe appunto quello dei rapporti coinvolti dal parto e dalla nascita.
Questo, dunque, è il cuore della motivazione: resta però da chiedersi quale sia la portata di tale principio e se la soluzione adottata sia davvero convincente.
In via di premessa, è forse opportuno ricordare che, come chiarito dalle “sentenze di San Martino 2019”, secondo cui, nell’ambito della responsabilità medica, la prestazione oggetto dell’obbligazione non è la guarigione dalla malattia, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore.
Dunque, l’interesse ex art. 1174 c.c. di cui il paziente è titolare è quello all’esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis in vista della guarigione e l’erogazione delle cure secundum leges artis – che è ciò che viene richiesto al debitore – rappresenta lo “strumento” per soddisfare il fine ultimo (la tutela della salute).
Osservazioni
Tra le decisioni richiamate nella sentenza in esame merita particolare attenzione (ai fini di chiarire la linea e lo sviluppo di pensiero) la sentenza della Suprema Corte n. 19188 del 15.09.2020. Conviene dunque prendere le mosse da questa pronuncia, perché alcuni passaggi “chiave” consentono di meglio individuare il file rouge intorno al quale sembra condensarsi il nuovo orientamento.
Il caso riguardava la morte di una paziente che, durante una gastroscopia, subisce un arresto cardiaco e viene a mancare poco dopo. Le figlie chiedono il risarcimento del danno iure proprio ai sensi dell’art. 1218 c.c., deducendo la cattiva esecuzione della prestazione medica ed il nesso con la morte.
La Corte accoglie alcuni dei motivi, ma rigetta la censura con cui le ricorrenti lamentavano l’omesso inquadramento del rapporto entro il paradigma del contratto con effetti protettivi. Osservava il Collegio:
“La figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l’argomento che il terzo ha un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l’interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione. Nel contratto tra la struttura e la gestante, l’interesse di quest’ultima è la nascita del figlio: la donna si affida alla struttura sanitaria (o al medico) allo scopo di avere assistenza al parto. L’esecuzione del contratto, si osserva, soddisfa (o lede, in caso di inadempimento) l’interesse dell’altro genitore allo stesso modo di come soddisfa (o lede) l’interesse della gestante contraente. Non v’è dunque motivo di riconoscere azione da contratto all’una ed azione da delitto all’altro. Il tema merita ovviamente approfondimenti maggiori, che non possono qui farsi, ma queste osservazioni bastano ad escludere che la figura possa ragionevolmente essere utilizzata nella fattispecie: qui, infatti, l’interesse delle figlie non è il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest’ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute, e l’inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l’appunto, della donna (o la vita, più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto alle figlie. Manca, quindi, la ragione che giustifica la figura degli effetti protettivi verso terzi: l’identità dell’interesse coinvolto dalla esecuzione del contratto”.
Pare a chi scrive che le argomentazioni appena riportate – richiamate negli stessi termini dalla Cassazione nella sentenza n. 11320/2022 – presentino alcune linee d’ombra.
Si potrebbe infatti sostenere che le due ipotesi messe a confronto dal Collegio non presentino significative divergenze.
Nel caso del contratto ginecologico, la madre ha un duplice interesse: l’erogazione secundum leges artis delle cure, al fine di veder tutelata la salute propria e quella del feto (il quale ultimo, a sua volta, è considerato terzo protetto). Il padre – che non è parte – ha un identico interesse a che l’integrità della gestante e del figlio siano salvaguardate attraverso una corretta esecuzione dell’atto medico. E questo perché, in caso di danno da malpractice, ad essere leso sarebbe il suo diritto alla integrità degli affetti nell’ambito della famiglia.
Non pare allora che vi sia differenza con il caso oggetto del decisum della sentenza n. 19188/2020.
Le figlie della signora hanno interesse a che l’atto medico sia eseguito a regola d’arte in vista della guarigione della madre, così come il padre del nascituro ha interesse a che le prestazioni mediche siano svolte correttamente affinché la salute della gestante e del bimbo siano salvaguardate.
E ciò perché sia le prime che il secondo sono titolari di una posizione in qualche modo “dipendente”, o se si vuole, “condizionata” dalla (cattiva) esecuzione del contratto: la lesione della integrità psico-fisica del congiunto imputabile al medico imperito è il “tramite” attraverso il quale si attua la violazione del loro diritto alla intangibilità del rapporto parentale.
Non pare allora condivisibile l’assunto di Cass. 19188/2020 secondo cui l’interesse delle figlie non è il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest’ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute, e l’inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l’appunto, della donna (o la vita più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto alle figlie.
In realtà anche nel caso del contratto ginecologico si ha lesione di due beni diversi: della salute (del nascituro / della gestante) da un lato, e del rapporto parentale in capo al padre dall’altro.
Né convince la conclusione secondo cui manca quindi la ragione che giustifica la figura degli effetti protettivi verso terzi: l’identità dell’interesse coinvolto dalla esecuzione del contratto.
Sembra infatti di poter dire che le figlie hanno lo stesso interesse della parte creditrice, a che la prestazione sia eseguita correttamente a tutela, appunto, della salute (della madre stessa); questo è il prius logico, perché è la compromissione dell’integrità psico fisica del genitore che genera la violazione del loro diritto alla intangibilità degli affetti.
La posizione di “vicinanza” giustifica l’interesse a che le cure siano erogate in modo corretto nei confronti del “congiunto” e, allo stesso tempo, fonda il diritto al risarcimento del danno (per violazione dei diritti della famiglia).
È il vincolo affettivo con la gestante e con il figlio che spiega perché il padre abbia interesse alla tutela della loro salute (e quindi alla perfetta esecuzione della prestazione medica).
Ed è parimenti il legame con la madre del caso di Cass. 19188/2020, che spiega perché le figlie abbiano interesse alla salvaguardia della sua integrità.
Detto in altri termini: coloro che si trovino in una situazione di “prossimità” con il paziente subiscono un vulnus ad un proprio diritto – l’intangibilità degli affetti – che trova causa nella cattiva esecuzione del contratto (di cura): è proprio per questo che sono portatori di un “interesse” (alla diligente effettuazione della prestazione) che sembra perfettamente sovrapponibile a quello di cui è titolare lo stesso creditore (il malato).
Del resto, è proprio la Cassazione nella sentenza n. 19188/2020 ad affermare, riferendosi peraltro al solo caso della gestante, che il terzo ha un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l’interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione.
Fa riflettere, inoltre, il fatto che Cassazione n. 11320/2022 affermi che nel caso dei rapporti attinenti alla procreazione l’inesatta esecuzione della prestazione incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre mentre, al di fuori di tale ambito l’esecuzione della prestazione che forma oggetto dell’obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi i quali subirebbero danni mediati o riflessi.
La cattiva esecuzione del contratto di cura si atteggia, per i terzi, come un fatto illecito e produce ai congiunti danni che sono senza dubbio “diretti”, altrimenti non si spiegherebbe neppure la tutela ex art. 2043 c.c.
In definitiva, alla luce di queste prime riflessioni, pare che il criterio dell’“interesse identico” non segni, in modo chiaro e netto, la differenza di tutela e non sia in grado di circoscrivere efficacemente il perimetro del contratto con effetti protettivi.
Conclusioni
Le osservazioni sin qui svolte non hanno certo la pretesa né l’ambizione di risolvere un problema che pare di grande complessità.
ll fatto è che la figura del contratto con effetti protettivi presta il fianco a non poche critiche e solleva più di una perplessità sia perché non ne è chiaro il fondamento, sia perché se è vero – come da ultimo affermato dalla Cassazione n. 11320/2022 – che dalla buona fede e dalla diligenza non nascono obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi.
Non si vede allora come tali effetti di protezione possano invece prodursi in favore del padre e del neonato (e dei fratelli) nel caso dei rapporti inerenti alla nascita.
In conclusione, la soluzione ibrida trovata dalla Cassazione sembra soddisfacente dato che, come si è cercato di esporre poco sopra, il criterio che fa leva sull’ “identità dell’interesse” pare in verità piuttosto sfuggente e tale non da svolgere quella funzione di discrimen che gli si vorrebbe attribuire.